Lo spazio bianco è stato esplorato anche dai quattro gruppi di ragazzi del progetto Erasmus+ che vi hanno lavorato nel corso dei quotidiani workshop, tenuti presso il Museo della Memoria. Quattro brevi performance, quattro messaggi diversi ma perfettamente aderenti all’affascinante tematica.
Il gruppo guidato da Yulija Patotskaya ha associato il bianco al vuoto, un vuoto con una accezione negativa memore dell’antico “horror vacui”. In modo brillante, leggero, divertente ed originale i ragazzi hanno riempito il vuoto dello spazio bianco con l’immaginazione, giocando con un telo bianco e dei fogli di carta, che hanno assunto via via significati diversi.
Più intima l’interpretazione dei ragazzi guidati da Liana Mernaka e Viktorija Grappa. Lo spazio bianco, per loro, è la sottile linea che separa la ragione dal sentimento, lo spazio entro il quale oscilliamo per tutta la nostra vita. Questa eterna frattura interiore dell’essere umano è stata portata in scena contrapponendo all’azione scenica un video delle espressioni del volto del protagonista.
Sulla scia delle suggestioni del teatro Nō, tra atmosfere magiche e sospese, il team di Emiliano Piemonte ha presentato “Hagaromo”, la storia di un angelo che non può tornare in cielo perché gli è stato rubato il mantello di piume. Lo spazio bianco è il luogo del divino che si fonde con il terreno, è l’entità sovrumana che lascia il suo segno, è l’uomo che si rinnova e si trasforma al suo passaggio.
In uno spazio scenico organizzato circolarmente, giù dal palco, il centro rappresenta il punto della potenzialità, il luogo del divenire e della possibilità di scegliere. La squadra di Ivana Sobkova e Jan Mràzek, attraverso una sorta di singolare training autogeno, ha cercato in questo spazio, soprattutto interiore, la realizzazione del proprio essere.